Ricorso per la Regione Calabria (C.F.  02205340793),  in  persona
del Presidente f.f. delle Giunta regionale  dott.  Antonino  Spirli',
rappresentata e difesa,  giusta  delibera  G.R.  numeri  365  dell'11
novembre 2020 e  378  del  19  novembre  2020,  e  correlato  decreto
dirigenziale di incarico, nonche' in virtu' di  procura  speciale  in
calce   al   presente   atto,   dall'avv.   Giuseppe   Naimo    (c.f.
NMAGPP65A05D976H)        dell'Avvocatura        regionale        (PEC
avvocato8.cz@pec.regione.calabria.it), ed  elettivamente  domiciliata
in Roma, via Sabotino, n. 12, presso  lo  studio  dell'avv.  Graziano
Pungi', fax: 0961/853581, indirizzi di posta  elettronica  e  fax  ai
quali intende ricevere comunicazioni  e  notificazioni  del  presente
giudizio 
    Contro Presidenza del Consiglio dei ministri (c.f.  80188230587),
in persona del Presidente pro-tempore, domiciliato per la  carica  in
Roma, Palazzo Chigi,  Piazza  Colonna,  n.  370,  domicilio  digitale
attigiudiziaripcm@pec.governo.it 
    Per  la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  degli
articoli 1, 2, 3, 6 e 7 del decreto-legge 10 novembre 2020,  n.  150,
derivante dalla violazione degli articoli 136, 5, 81, 117, 119, 120 e
121 della Costituzione, nonche'  degli  articoli  8  della  legge  n.
131/2003, 2, commi 78, 88 e 88-bis della legge n. 191/2009, 1, 2,  3,
6, 7 e 8 del decreto legislativo n. 171/2016, 11, comma 1,  lett.  p)
della legge n. 124/2015, 5-bis del decreto legislativo n. 502/1992  e
del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni. 
 
                                Fatto 
 
    Il decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35, pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale n. 101, Serie generale, del 2 maggio 2019, recante  «Misure
emergenziali per il servizio sanitario della Regione Calabria e altre
misure urgenti in materia sanitaria.», ritenendo  di  dover  adottare
misure eccezionali, volte anche alla risoluzione  delle  riscontrate,
gravi  inadempienze  amministrative  e  gestionali,  per  la  Regione
Calabria,  supportando  l'azione  commissariale  di  risanamento  del
servizio sanitario regionale, ed accertati il mancato rispetto  degli
obiettivi economico-finanziari  previsti  dalla  cornice  programmata
nell'ambito dei programmi operativi, il  mancato  raggiungimento  del
punteggio minimo previsto dalla griglia  dei  livelli  essenziali  di
assistenza,  nonche'  rilevanti  criticita'  connesse  alla  gestione
amministrativa, piu' volte riscontrati,  da  ultimo,  dai  Tavoli  di
verifica degli adempimenti e dal Comitato permanente per la  verifica
dei LEA nella  seduta  congiunta  del  4  aprile  2019,  al  Capo  I,
rubricato «Disposizioni  urgenti  per  il  servizio  sanitario  della
Regione Calabria» (articoli 1-10) conteneva - tra gli altri -  l'art.
1 «Ambito di applicazione»,  l'art.  2  «Verifica  straordinaria  sui
direttori generali degli  enti  del  Servizio  sanitario  regionale»,
l'art. 3 «Commissari straordinari degli enti del  Servizio  sanitario
regionale», l'art. 4 «Direttori amministrativi e  direttori  sanitari
degli enti del Servizio  sanitario  regionale»,  l'art.  5  «Dissesto
finanziario degli enti del Servizio sanitario  regionale»,  l'art.  6
«Appalti, servizi e forniture per gli  enti  del  Servizio  sanitario
della Regione Calabria», l'art. 8  «Supporto  dell'Agenzia  nazionale
per i servizi sanitari regionali» e l'art. 9 «Ulteriori  disposizioni
in tema di collaborazione e supporto ai  Commissari»;  al  Capo  III,
rubricato «Disposizioni finanziarie, transitorie e finali»  (articoli
14-16),  contiene  -  tra  gli  altri  -  l'art.   14   «Disposizioni
finanziarie»  e  l'art.  15  «Disposizioni  transitorie  e   finali»,
articoli tutti oggetto di impugnativa  da  parte  della  Regione  qui
ricorrente; tale decreto e' stato oggetto di conversione con la legge
n. 60/2019, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie  generale,  n.
152 del 1° luglio 2019, anch'essa impugnata; i distinti ricorsi della
Regione Calabria sono stati riuniti e respinti da codesta  Corte  con
la sentenza n. 233/2019. 
    Scaduto il termine di 18 mesi di vigenza di dette  norme,  con  i
risultati che appresso si indicheranno, dopo 7 giorni il  Governo  ha
assunto il decreto-legge 10 novembre 2020, n. 150,  pubblicato  nella
Gazzetta Ufficiale n. 280, Serie  generale,  del  10  novembre  2020,
recante «Misure emergenziali per il servizio sanitario della  Regione
Calabria e per il rinnovo  degli  organi  elettivi  delle  regioni  a
statuto ordinario», con il quale,  ancora  una  volta,  ritenendo  di
dover adottare misure eccezionali, tenuto conto che  l'Organizzazione
mondiale della sanita' ha dichiarato la pandemia da  COVID-19,  anche
in ragione della situazione emergenziale in corso, di  prevedere  per
la Regione Calabria, misure eccezionali per garantire il rispetto dei
livelli essenziali di assistenza (LEA) in ambito  sanitario,  di  cui
all'art. 117, secondo comma, lett. m),  della  Costituzione,  nonche'
per assicurare il fondamentale  diritto  alla  salute  attraverso  il
raggiungimento degli obiettivi previsti nei  programmi  operativi  di
prosecuzione del piano di rientro dai disavanzi sanitari;  verificato
il reiterato mancato raggiungimento  del  punteggio  minimo  previsto
dalla griglia dei livelli essenziali  di  assistenza  (LEA)  e  degli
obiettivi economico-finanziari  previsti  dalla  cornice  programmata
nell'ambito  dei  programmi  operativi;  ritenuta  la   indifferibile
necessita' di intervenire per  introdurre  misure  straordinarie  per
superare  le   gravi   inadempienze   amministrative   e   gestionali
riscontrate nella Regione Calabria, al Capo I, rubricato anche questa
volta «Disposizioni urgenti per il servizio sanitario  della  Regione
Calabria» (articoli  1-7)  contiene  -  tra  gli  altri  -  l'art.  1
«Commissario ad acta e supporto alla struttura commissariale», l'art.
2  «Commissari  straordinari  degli  enti  del   Servizio   sanitario
regionale», l'art. 3 «Appalti, servizi e forniture per gli  enti  del
Servizio sanitario della Regione Calabria», l'art. 6  «Contributo  di
solidarieta'  e  finanziamento  del  sistema  di   programmazione   e
controllo del Servizio sanitario della Regione Calabria» e  l'art.  7
«Disposizioni transitorie e finali», articoli quelli indicati oggetto
di impugnativa col presente ricorso. 
    Cosi' esposte la cronologia dei fatti e le norme che si intendono
impugnare, questa difesa intende ricorrere, come in  effetti  con  il
presente atto ricorre, a codesta Corte costituzionale, ex  art.  127,
secondo comma, della  Costituzione,  atteso  che  le  suddette  norme
presentano  profili  di  lesivita'  in  pregiudizio  della  sfera  di
attribuzioni legislative ed  amministrative  della  Regione  Calabria
costituzionalmente garantite, ed interviene maniera significativa  su
materia di preminente interesse regionale, affidando  il  ricorso  ai
seguenti 
 
                               Motivi 
 
1) Violazione art. 136 della Costituzione 
    Come  esposto   in   narrativa,   codesta   Corte   ha   respinta
l'impugnativa avverso il primo «Decreto Calabria»; pur respingendo il
ricorso, al punto 6)  della  motivazione  ha  comunque  statuito  che
«L'effettiva rispondenza delle misure adottate  dal  legislatore  del
2019 allo scopo perseguito di "risanamento del servizio sanitario"  e
soprattutto  di  tutela  del  "rispetto  dei  livelli  essenziali  di
assistenza  in  ambito  sanitario"  nella  Regione  Calabria  nonche'
l'assenza di eventuali loro effetti controproducenti (quali paventati
in  udienza  dal  difensore   della   ricorrente)   dovranno   essere
attentamente monitorate da parte dello Stato, e valutate in concreto,
in sede applicativa delle misure stesse.», mentre al  punto  5.1  era
stato  indicato  che  la  legittimita'  del  provvedimento  normativo
dipendeva dal fatto che le concorrenti competenze regionali  venivano
«solo temporaneamente  ed  eccezionalmente  "contratte",  in  ragione
della pregressa  inerzia  regionale  o  comunque,  del  non  adeguato
esercizio delle competenze stesse». 
    Purtroppo,  lo  Stato  ha  clamorosamente  mancato  anche   nella
verifica «le recenti, tragicomiche vicende  che  hanno  portato  alla
revoca del precedente commissario,  alle  dimissioni  del  suo  primo
sostituto, nonche' alla  successiva,  affannosa  ricerca  di  manager
attrezzato   per   il   compito,   sfociata   nella    individuazione
dell'ennesimo  inquirente  in  pensione  quale   commissario,   hanno
purtroppo  avuto  tale  risalto  mediatico  da  rientrare  nel  fatto
notorio», ma,  ancora  una  volta,  dopo  aver  fatto  inutilmente  ,
trascorrere i 18  mesi  fissati  dal  decreto-legge  n.  35/2019,  ha
utilizzato  le  proprie  macroscopiche  incapacita'  nella   gestione
commissariale per aggravare ulteriormente detto regime con  le  norme
qui impugnate, ampliando addirittura,  senza  peraltro  alcuna  reale
soluzione  di  continuita'  rispetto  al  provvedimento  cessato,  il
periodo di vigenza (ora, ulteriori 24 mesi rispetto ai 18  mesi  gia'
imposti in precedenza). 
    Cio' premesso, la normativa impugnata, che,  ponendosi  in  piena
continuita' «art. 7, comma 4, addirittura prevede la cessazione dalle
funzioni di organi eventualmente nominati dalla Regione tra il  3  ed
il 9 novembre, mentre il comma 3 dello stesso  articolo  consente  di
aggiornare il  mandato  commissariale,  congiungendo  cosi'  in  modo
inequivoco l'incidenza dei due provvedimenti normativi sulla  Regione
ricorrente» con  l'intervento  appena  cessato,  reitera  ed  aggrava
l'intervento appena  cessato,  rivelatosi  non  solo  infruttuoso  ma
addirittura peggiorativo della situazione del  maggio  2019,  per  un
misto di incapacita' e sistematica sottovalutazione di dati («novita'
del "decreto Calabria" non hanno prodotto, allo stato,  un  effettivo
efficientamento della sanita' regionale. Le criticita' principali  si
sono mostrate in merito ai seguenti  aspetti:  Governance  sanitaria:
Dotazioni organiche; Appalti e forniture» - p.  359  bozza  relazione
parifica esercizio 2019  della  Corte  dei  Conti  calabrese),  viola
apertamente  i  limiti  che  codesta   Corte   aveva   fissato   alla
legittimita' dell'intervento al quale le norme impugnate  si  pongono
in   conclamata   continuita',   e   quindi   viola   il    giudicato
costituzionale, in conseguenza della violazione dell'art.  137  della
Costituzione. 
2) Violazione articoli 5, 117, 120, 121 della Costituzione;  8  della
legge n. 131/2003; 2, comma 78, della legge n. 191/2009; 1, 2, 6 e  8
del decreto legislativo n. 171/2016, 11,  comma  1,  lett.  p)  della
legge n. 124/2015 e del principio di leale collaborazione tra Stato e
regioni. 
    Gli articoli 1, 2,  3,  6  e  7,  dettati  solo  per  la  Regione
Calabria, operando modifiche unilaterali al Piano di  rientro  ed  al
mandato  commissariale,  nonche'  alla  normativa  di  settore,  sono
invasive  della  competenza  concorrente   e   residuale   regionale,
contraggono  le  correlate  prerogative  in   termini   temporalmente
irragionevoli e non piu' eccezionali, ma  ormai  sistematici,  ed  in
ogni caso non sono assistite da intesa con la regione e/o in sede  di
Conferenza  Stato  regioni,  e  determinano  percio'  le   violazioni
denunciate, anche in ordine alla mancanza di intesa ed  al  principio
di leale collaborazione. 
    Come chiarito dalla sentenza n. 219/2013 di  codesta  Corte:  «Lo
Stato, optando per l'esercizio del potere sostitutivo ...  si  assume
l'onere  del  processo  coartato   di   risanamento   delle   finanze
regionali»: come gia' sopra riportato ai punto 1), codesta Corte, con
la sentenza n. 233/2020, ha ritenuto legittimo  il  decreto-legge  n.
35/2020 in quanto le prerogative regionali «non risultano violate  ma
solo temporaneamente ed eccezionalmente "contratte", in ragione della
pregressa inerzia regionale o, comunque, del non  adeguato  esercizio
delle competenze stesse». 
    Dovra' essere finalmente ammesso che a) la violazione/contrazione
delle competenze regionali non e' piu'  «eccezionale  e  temporanea»,
ma, senza sostanziale soluzione  di  continuita'  «un  margine  di  7
giorni   non   puo'   certo   considerarsi    cesura    temporalmente
significativa»  si  protrae  per  tre  anni  e  mezzo  (18  mesi   il
decreto-legge n. 35/2020; 24 mesi il decreto-legge qui impugnato); b)
lo Stato  tenta  di  utilizzare  le  macroscopiche  inadempienze  dei
Commissari statali, che - esse  si  -  si  protraggono  da  oltre  un
decennio,  per  tentare  di  prorogare  ulteriormente  uno  stato  di
espropriazione/compressione  delle  competenze  regionali,   che   ha
oggettivamente danneggiato e danneggia sempre piu' la  Regione  ed  i
cittadini in essa residenti, i  quali  hanno  visto  progressivamente
peggiorare - per asserzione dello stesso  Stato,  che  su  tale  dato
fonda il paradossale intervento qui  censurato  -  la  situazione  di
assistenza alla cittadinanza, proprio a causa dell'intervento statale
(«e' messo in pericolo non il servizio di raccolta differenziata, non
il servizio di scuola bus,  non  la  pulizia  delle  strade  per  gli
abitanti di un singolo Comune, ma la piena tutela della salute -  che
e' "diritto dei diritti" - per i circa  2  milioni  di  abitanti  del
territorio calabro» -  p.  18  intervento  orale  Relatrice  giudizio
parifica Corte dei Conti Calabria, che si allega). 
    Pare qui indispensabile una disamina  dello  stato  del  «pianeta
salute» in Calabria in esito al commissariamento, e, per rendere meno
«passionale» tale descrizione, si utilizzeranno per  larga  parte  le
parole  della  magistratura  contabile:  in  oltre  dieci   anni   di
commissariamento, il saldo finale tra mobilita' attiva e  passiva  in
Calabria e' esponenzialmente peggiorato (v.  tabelle  riportata  alle
pagine 389-390 della bozza di relazione parifica, che  si  allega  in
stralcio) proprio durante  commissariamento;  secondo  la  Corte  dei
Conti calabrese «Dal  2010  (inizio  dei  Commissariamento),  l'esito
delle iniziative attuate per superare le numerose criticita' presenti
al momento dell'entrata in vigore del piano di rientro  ha  disatteso
le reali attese di cambiamento "p.  407  bozza  relazione  parifica";
l'obiettivo finale  del  penultimo  Programma  Operativo  (2016/2018)
"uscire dal piano di rientro" e  le  sue  precondizioni»  raggiungere
pareggio di bilancio entro il  2018  «,  non  e'  stato  raggiunto  e
l'ultimo anno si  distingue  per  una  regressione  degli  indicatori
economici e assistenziali conseguiti in  precedenza»  «p.  497  bozze
relazione parifica»; senza aver completato  il  precedente  Programma
Operativo, ora ci si trova in vigenza «del Piano Operativo 2019/2021,
approvato con DCA n. 37 del 26 febbraio 2020», ossia  oltre  un  anno
dopo il preteso inizio di valenza del Programma  stesso;  l'acclarata
presenza  delle  diverse  fattispecie  debitorie,  oltre  alle  gravi
irregolarita' di cui alla deliberazione della sezione controllo della
Corte dei conti n. 13/2019, mai sistemate  contabilmente  negli  anni
progressi, che avevano indotto la Commissione straordinaria  dell'ASP
di RC, con Deliberazione n. 298 del 6 giugno 2019, ai sensi dell'art.
5 del decreto-legge n. 36/2019, a proporre il dissesto  dell'Azienda,
non e' stata  accolta  dal  Commissario  ad  acta,  con  motivazioni,
indicate nella nota prot. n. 170858 del 21 maggio 2020,  ossia  quasi
un anno dopo la richiesta: il costo sostenuto per l'acquisto dei beni
da parte delle Aziende del SSR e' passato  complessivamente  da  euro
351.599.120,80 nel 2018 ad euro 367.758.596,39  nel  2019,  ossia  in
vigenza del decreto-legge n. 35/2019, con un incremento pari  al  5%.
«p. 436 bozza relazione  parifica»;  nell'esercizio  2019,  ossia  in
vigenza del decreto-legge n. 35/2019, non  sono  stati  rispettati  i
tetti di spesa per dispositivi medici per 12.238.674,00;  «il  Tavolo
tecnico per la verifica degli adempimenti regionale con  il  Comitato
permanente per la verifica dei  LEA,  in  data  25  maggio  2020,  ha
rilevato la  dimensione  degli  oneri  finanziari  in  peggioramento,
evidenziando la gravita' della situazione. Ha  pertanto  invitato  la
struttura  commissariale  al  presidio   di   tali   iscrizioni   con
particolare riferimento agli oneri finanziari  per  anticipazioni  di
cassa che rappresentano il 77% del totale contabilizzato su tale voce
dall'intero SSN.» «p. 460 bozza relazione parifica»; sempre ad avviso
della Corte  dei  Conti  della  Calabria  «si  sono  realizzate,  con
riferimento al risultato di gestione dell'anno  2019,  le  condizioni
per  l'applicazione  degli   automatismi   fiscali   previsti   dalla
legislazione  vigente,  vale  a  dire  l'ulteriore  incremento  delle
aliquote fiscali di IRAP e addizionale regionale all'IRPEF per l'anno
d'imposta in corso, rispettivamente  nelle  misure  di  0,15  e  0,30
punti, e per l'applicazione  del  divieto  di  effettuare  spese  non
obbligatorie da parte del bilancio  regionale  fino  al  31  dicembre
2021.» «p. 467 bozza relazione parifica»;  la  Regione  Calabria,  o,
meglio, la gestione commissariale, al IV trimestre 2019  presenta  un
disavanzo sanitario di 116,721  milioni  di  euro;  il  sig.  giudice
relatore al giudizio di parifica ha in sintesi  rilevato  che  «dieci
anni dopo, ossia a fine 2019, il disavanzo  sanitario  e'  passato  a
euro 225,418 milioni di euro. Dopo il  conferimento  delle  coperture
derivanti  dal  gettito  delle  aliquote  fiscali   massimizzate   il
risultato di gestione evidenzia un disavanzo di  118,796  milioni  di
euro (fonte: Verbale del tavolo tecnico e del Comitato per la  Tutela
dei LEA dell'8 e 9 novembre 2020 - dati trasmessi  con  nota  Regione
Calabria, Dipartimento tutela della salute, Servizi sociali  e  socio
sanitari, prot. n. 3933804 del 30 novembre 2020) ... In altre parole,
gli abitanti  della  Calabria  stanno  da  dieci  anni  colmando  una
voragine finanziaria che cresce e si alimenta  di  anno  in  anno.  A
fronte di questi "sacrifici finanziari",  i  medesimi  cittadini  non
godono pero' di servizi  sanitari  adeguati.»;  infine  -  a  diretta
smentita di  uno  dei  presupposti  dell'adozione  del  provvedimento
normativo impugnato - dal verbale del tavolo tecnico e  del  Comitato
per la verifica del LEA del 25 maggio  2020  emerge  che  la  Regione
Calabria ha superato la verifica dei LEA per gli esercizi 2015,  2016
e 2017, mentre, quanto all'anno 2018, a  luglio  2020,  quindi  molto
prima che venisse adottato il provvedimento impugnato,  il  Ministero
della salute «si allega stralcio della  relazione»  attribuisce  alla
Calabria un punteggio pari a 162, positivo ed in miglioramento. 
    Cio' necessariamente premesso, l'art. 1, nel ribadire ed ampliare
i poteri commissariali, impone alla Regione un contingente minimo  di
«personale» da mettere a disposizione della struttura  commissariale,
senza neanche  indicare  le  finalita'  del  decreto-legge  medesimo,
probabilmente affidate alla  mera  premessa,  ma  precisando  che  il
Commissario «assicura l'attuazione delle misure di  cui  al  presente
capo»; l'art. 2 prevede, come gia'  l'art.  3  del  decreto-legge  n.
35/2019,  la  nomina  di  Commissari  straordinari   da   parte   del
Commissario ad acta o, in caso di mancata intesa con la  regione,  da
parte  del  Ministro  della  salute;   l'art.   3,   comma   1,   del
decreto-legge, come gia', in parte, la prima formulazione dell'art. 6
del  decreto-legge  n.  35/2019,  consente  agli  enti  del  Servizio
sanitario della regione di avvalersi anche di Consip ovvero -  previa
convenzione - alle  centrali  di  committenza  della  Calabria  o  di
regioni limitrofe per l'affidamento di appalti di lavori,  servizi  e
forniture,  superiori  alle  soglie  comunitarie,  con  facolta'   di
avvalersi del Provveditorato interregionale per  le  opere  pubbliche
per  la  Sicilia-Calabria,  il  Piano  di  rientro   nella   versione
nuovamente vigente dal 3 novembre u.s., che prevede invece «v.  DG.R.
845/09,  allegato,  paragrafo  9,  punto  b),  e  paragrafo  10»   la
«predisposizione» delle gare da parte solo  da  parte  della  S.U.A.,
nonche' un budget prefissato per tale attivita' al fine di consentire
un risparmio di spesa; l'art. 6,  comma  2,  condiziona  l'erogazione
delle somme di cui al comma 1 alla presentazione e  approvazione  del
programma operativo di prosecuzione  del  Piano  di  rientro  per  il
periodo 2022-2023 e alla sottoscrizione di uno specifico Accordo  tra
lo Stato e le regioni contenente le  modalita'  di  erogazione  delle
risorse; l'art. 7, infine, determina  in  24  mesi  la  durata  della
misure, e  consente  al  Consiglio  dei  ministri,  su  proposta  del
Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con  il  Ministro
della salute, sentito il Ministro  per  gli  affari  regionali  e  le
autonomie, di  aggiornare  il  mandato  commissariale  assegnato  con
delibera del 19 luglio 2019 anche con riferimento al  Commissario  ad
acta, nonche' - comma 4  -  fa  cessare  dall'incarico  gli  «organi»
eventualmente nominati dalla Regione dal 3 novembre. 
    L'unilaterialita'  dell'intervento   legislativo   determina   la
violazione degli articoli 5, 117 e 120 della Costituzione,  2,  comma
78, della legge n. 191/2009; 1, 2, 3, 6 e 8 del  decreto  legislativo
n. 171/2016, 11, comma 1, lett. p), della legge 124/2015,  5-bis  del
decreto legislativo n.  502/1992,  nonche'  del  principio  di  leale
collaborazione, per come  declinato,  oltre  che  dalle  norme  sopra
richiamate, dall'art. 8 della legge n. 131/2003, e sia consentito  di
evidenziare che la «soluzione» assunta con la pronuncia n.  200/2020,
alla quale rinvia la pronuncia n.  233/2020,  se  verificata  con  la
dovuta serenita', nulla a a che vedere con la questione che qui  pone
la regione. 
    Infatti, la sentenza n. 200/2019 di codesta  Corte  ha  affermato
che «Le facolta' di audizione e partecipazione della regione  non  si
estendono, del resto, all'individuazione nominativa del commissario e
del subcommissario, la cui scelta spetta in via esclusiva al Governo»
e che, nel caso li' esaminato, la leale collaborazione sarebbe  stata
garantita «dall'azione congiunta del "Comitato paritetico  permanente
per la verifica dei Livelli essenziali di assistenza" e  del  "Tavolo
tecnico per la verifica degli adempimenti"  regionali»,  mentre,  nel
caso che qui ne occupa,  non  si  verte  in  materia  di  indicazione
nominativa del commissario, ed i Tavoli richiamati  in  sentenza  non
sono stati in alcun modo  «interessati»  in  merito  a  contenuti  ed
adozione del provvedimento normativo qui impugnato. 
    Cio' detto, l'invasione/compressione delle  sfere  di  competenza
regionale concorrente e residuale e' di tutta evidenza, e  come  gia'
sopra  evidenziato,  non  ha  piu'  carattere  di  eccezionalita'   e
temporaneita'; pare quindi evidente la  violazione  denunciata  dalla
regione ricorrente: l'art. 5 della Costituzione riconosce e  promuove
le autonomie locali; l'art. 117, comma 2, prevede tra le  materia  di
legislazione concorrente anche quelle della tutela della salute e del
coordinamento della finanza pubblica, ed il comma  4  tra  quelle  di
legislazione residuale  l'organizzazione  degli  uffici;  l'art.  121
della Costituzione prevede che il potere  legislativo  della  regione
sia esercitato dal Consiglio regionale, e che la rappresentanza della
regione sia individuata in capo al Presidente  della  Giunta;  l'art.
120, comma 2, della Costituzione pone come preciso limite  al  potere
sostitutivo statale l'esercizio dello stesso secondo  i  principi  di
sussidiarieta' e di leale collaborazione. 
    Quanto a tale ultimo profilo, il mancato invito a partecipare del
Presidente della Giunta f.f. al C.d.M. del 9 novembre  2020  o  altra
forma di «coinvolgimento» della regione e' conclamato; rimane  quindi
acclarato che nessuna forma di leale collaborazione sia stata attuata
nel caso in esame, mentre l'art. 8, comma  1,  della  legge  131/2003
prevede espressamente che  anche  in  ipotesi  di  adozione  di  atti
normativi in  materia  -  senza  esclusione  alcuna  in  ordine  alla
tipologia di atto, e quindi anche in ipotesi di adozione  di  decreto
legge  -   il  Presidente  della  Giunta  debba  essere  invitato   a
partecipare al relativo C.d.M.. 
    Ad avviso della regione ricorrente, comunque, l'art. 8, comma  4,
della legge n. 131/2003, che prevede, anche per i  casi  di  urgenza,
quanto meno  il  coinvolgimento  della  Conferenza  Stato  regioni  a
seguito dell'adozione di «provvedimenti», la quale puo'  chiedere  il
riesame del provvedimento, se riguarda l'adozione di decreti legge ex
art. 77 della Costituzione, come chiarito da  codesta  Corte  con  la
sentenza n.  233/2019;  la  mancata  «immediata  comunicazione»  alla
Conferenza da' la dimostrazione  della  violazione  denunciata  anche
sotto tale diverso profilo. 
    Infine,  risulta  documentalmente  comprovata  l'erroneita'   del
presupposto fondante dell'intervento, ossia  il  reiterato  «deficit»
dei LEA: come dimostrato, anche mediante allegazione della  Relazione
sui LEA 2018, seppur dopo due anni, lo Stato ha rilevato come  i  LEA
siano l'unico dato in reale miglioramento nella regione, per cui  non
solo risulta  non  veritiera  l'indicazione  in  ordine  al  presunto
«reiterato mancato raggiungimento del punteggio minimo previsto dalla
griglia dei livelli essenziali di assistenza (LEA)», e non puo' certo
essere utilizzata la sistematica sottovalutazione dei dati  da  parte
del tavolo tecnico  per  protrarre  l'occupazione  statale;  inoltre,
l'ulteriore  presupposto,   ossia   il   mancato   «degli   obiettivi
economico-finanziari previsti dalla cornice  programmata  nell'ambito
dei programmi operativi», risultando imputabile  esclusivamente  alla
Stato, non puo' essere utilizzato dallo stesso per autoalimentare  ed
ampliare     l'inefficiente     commissariamento     e     proseguire
nell'invasione/compressione di sfere di competenza regionale. 
3. Violazione articoli 81, 117, 119, 121 della Costituzione. 
    Come gia' sopra riportato al  punto  2),  l'art.  1  impone  alla
regione  di  mettere  un  contingente  «minimo»  di  25   persone   a
disposizione del Commissario per 24 mesi «art. 7, comma 1»: cio' lede
diversi parametri costituzionali. 
    Innanzi tutto, cio' determina la  macroscopica  violazione  degli
articoli 117, comma 4, e 121 della Costituzione, in quanto tale norma
incide in  materia  di  competenza  legislativa  residuale  regionale
«ordinamento ed organizzazione amministrativa regionale,  vedi  Corte
costituzionale, sentenza n. 191/2017»  in  ordine  all'organizzazione
degli uffici regionali, che  rischia  di  venire  devastata  da  tale
impatto del tutto «indiscriminato» (prevedere un contingente  minimo,
e non un contingente massimo, lascia al mero arbitrio del Commissario
la scelta del numero di persone  da  «applicare»,  sia  interni  alla
regione che esterni). 
    In ordine alla parte seguente di motivo di ricorso, nonche'  agli
ulteriori motivi, pur  essendo  nota  la  giurisprudenza  di  codesta
Ecc.ma Corte che afferma  che  nei  giudizi  in  via  principale,  le
regioni  sono  legittimate  a  censurare   le   leggi   dello   Stato
esclusivamente in riferimento a parametri relativi al  riparto  delle
rispettive competenze legislative, salva  ipotesi  di  violazione  di
questi che comporti una compromissione delle  attribuzioni  regionali
costituzionalmente garantite, e previa indicazione  delle  specifiche
competenze ritenute lese e le ragioni  della  lamentata  lesione,  si
ritiene di segnalare che il presente caso e' un unicum, in quanto  le
norme impugnate sono espressamente dirette  ad  incidere  sulla  sola
regione ricorrente, il che pare  determinare  una  ridondanza  in  re
ipsa; in ogni caso si dettagliera' la ridondanza richiesta, in quanto
tutte le norme impugnate  incidono  sulle  competenze  regionali,  in
materia di  legislazione  concorrente  (tutela  della  salute  e  del
coordinamento della finanza pubblica), e l'art. 1 anche in materia di
competenza residuale  (ordinamento  e  organizzazione  amministrativa
regionale); le ragioni delle lamentate lesioni sono la privazione del
potere presidenziale di nomina di Commissari ed organi della  aziende
(art. 2), l'imposizione di indiscriminata «messa a  disposizione»  di
un  quantita'  non  determinata  di  personale  regionale  e  non  al
Commissario ad acta (art. 1); l'incidenza sul bilancio regionale e la
mancata certa copertura per tutte le norme impugnate. 
    Cio' premesso, l'art. 1 viola anche gli articoli 81,  117  e  119
della Costituzione: tenuto conto che il costo diretto della  gestione
commissariale, antecedente al decreto-legge n. 150/2020 era gia' pari
ad euro 300.000, e tale somma e' annualmente stanziata  nel  bilancio
regionale (capito U12010113801 -  estratto  del  bilancio  gestionale
2020-2022, approvato con dgr. n.  60  del  29  aprile  2020,  che  si
allega), in attuazione della disposizione impugnata e' stato ritenuto
dalla regione «si veda nota dirigenziale  allegata»  finanziariamente
sostenibile unicamente il  ricorso  a  110  unita'  di  personale  da
acquisire tramite interpello,  in  posizione  di  comando,  ai  sensi
dell'art. 17, comma 14, della legge 15 maggio 1997, n. 127,  da  enti
pubblici regionali e da enti del Servizio sanitario regionale, e tale
ulteriore costo e' complessivamente pari a 500.000,00 euro, per  come
indicato nella relazione tecnico finanziaria che corredata  la  legge
n. 29/2020 (che si allega) nonche' come si evince dall'estratto della
DGR. n. 435/2020 che declina le nuove  autorizzazioni  di  spesa  nei
singoli capitoli di bilancio (che  si  allega),  ed  e'  stato  cosi'
determinato:  costo  unitario  annuo   collaboratore   amministrativo
professionale cat. D: euro 45.531,00 comprensivo di  oneri  riflessi.
Totale euro 455.310,00 per 10 unita'; costo per buoni pasto:  7  euro
al giorno, per massimo 24 giorni al mese, per 12 mesi, per 10 unita':
euro 20.160,00; ulteriori costi per  trasferte  circa  25  mila  euro
(euro 24.530) complessive e circa 2.450,00 euro ciascuno.  Per  tali,
con la legge regionale n. 29/2020 e' stata iscritta  in  bilancio  la
somma di euro 500.000,00 sul capitolo U1201013801 per  le  annualita'
2021 e 2022;  tale  importo  e'  stato  confermato  nel  bilancio  di
previsione 2021-2023, nel  quale,  tenuto  conto  dello  stanziamento
originario di euro 300.000,00, e' allocato l'importo  complessivo  di
euro 800.000,00 per ciascuna annualita'. 
    La norma  impugnata,  pero',  non  pone  limiti  quantitativi  al
ricorso  all'esterno,  per  cui  e'  evidente  che,  in  disparte  la
rilevante incidenza sul  bilancio  regionale,  gia'  «provato»  dagli
interventi per arginare l'emergenza COVID, anche del solo  intervento
ritenuto «sostenibile», la norma consente,  a  mera  discrezione  del
Commissario, un impatto incerto nel quantum sul  bilancio  regionale,
anche  superiore  al  limite  di  sostenibilita'  documentato   dalla
regione, e quindi anche privo di adeguata copertura finanziaria «art.
81, comma 3, della Costituzione», il che  -  oltre  a  dimostrare  la
ridondanza della  questione  sui  parametri  costituzionali  che  non
riguardano la ripartizione di competenze tra Stato e regioni  proprio
tramite l'indicazione dell'art. 119 della Costituzione - conclama  la
fondatezza della censura. 
    Quanto ai  costi  indiretti,  la  sottrazione  di  personale  (15
unita', nella ipotesi piu' benevola, ma come  ricavabile  dalle  note
del 9 dicembre 2020 - con allegato  -  e  del  2  dicembre  2020  del
Dirigente del Dipartimento personale,  la  richiesta  e'  molto  piu'
corposa, ossia 60 persone) imporra' alla regione,  per  mantenere  il
livello di servizi, di reperire altrove le risorse umane «distratte»,
con conseguente aggravamento per altro verso dell'impatto della norma
sul bilancio regionale, di importo ad ora non quantificabile  proprio
perche' incerto il limite massimo di «reclutamento». 
4) Violazione articoli 5, 117, 120, 121 della Costituzione; 1,  2,  8
del decreto legislativo n. 171/2016; 11,  comma  1,  lett.  p)  della
legge n. 124/2015. 
    L'art. 2, in combinato  disposto  con  l'art.  7,  comma  4,  nel
consentire la nomina, previa cessazione dalle funzioni  di  direttori
generali o di qualunque altro  «organo  ordinario  o  straordinario»,
gia' eventualmente nominati dal  Presidente  della  Regione  Calabria
previa deliberazione di Giunta, ex art. 20 della legge  regionale  n.
29/2002, solo nella Regione Calabria, viola gli articoli 5, 117, 120,
121 della Costituzione, 1, 2 e 8 del decreto legislativo n. 171/2016,
11, comma 1, lett. p) della legge n. 124/2015 perche' introduce norma
non di  principio,  ma  di  dettaglio,  in  materia  di  legislazione
concorrente, ed in relazione ad  istituto  disciplinato  dallo  Stato
prima  solo  col  decreto-legge  n.  35/2019,  ma  gia'  normato  dal
Legislatore regionale (si vedano le sentenze di codesta Ecc.ma  Corte
numeri 190/2017, punto 6 «Considerato in diritto» - proprio  relativa
alla regione ricorrente - e 87/2019, punti 4.2  ss.  «Considereto  in
diritto»); inoltre, consente una  immotivata  deroga  all'obbligo  di
attingere  dall'elenco  nazionale  di  cui  all'art.  1  del  decreto
legislativo  n.  171/2016;  ancora,  derioga  in  termni   immotivati
all'art. 2 del emdesimo decreto legislativo;  infine,  l'art.  8  del
decreto legislativo n. 171/2016 aveva previsto che dalla modifiche di
settore non sarebbe dovuta sopravvenire nessuna nuova  spesa,  ed  il
mancato previo raggiungimento di intesa in sede di Conferenza su tali
nuovi oneri determina la lamentata violazione. 
    In dettaglio, si conferisce il potere di nomina al Commissario  o
al Ministro, seppur previa intesa con  la  regione;  si  consente  la
nomina anche al di fuori dell'elenco nazionale di cui all'art. 1  del
decreto legislativo n. 171/2016, derogato senza intese;  inoltre,  si
introduce una ipotesi di decadenza degli  organi  eventualmente  gia'
nominati alla regione, non disciplinata dal  decreto  legislativo  n.
171/2016; si prevede la possibilita' di nomina di un commissario  per
piu' aziende del S.S.R. 
    Pare efficace richiamare, a  sostegno  del  vizio  lamentato,  la
sentenza n. 251/2016 di codesta Ecc.ma Corte costituzionale,  che  ha
dichiarato incostituzionale l'art. 11 della legge n. 124/2015,  anche
nella parte in cui consentiva di  adottare  quello  che  poi  sarebbe
stato indicato come  decreto  legislativo  n.  171/2016,  non  previa
intesa con la Conferenza Stato regioni, ma solo previo  parere  della
Conferenza unificata, in quanto, riguardando competenze  concorrenti,
come quella  relativa  alla  disciplina  della  dirigenza  sanitaria,
l'intervento del Legislatore statale, costituito dalla determinazione
dei principi fondamentali in materia di tutela  della  salute,  «deve
muoversi  nel  rispetto  del  principio  di   leale   collaborazione,
indispensabile anche in questo caso a guidare i rapporti tra lo Stato
e il sistema delle autonomie (ex plurimis, sentenze n. 26 e n. 1  del
2016, n. 140 del 2015, n. 44 del 2014, n. 237 del 2009, n. 168  e  n.
50 del 2008). Poiche' le  disposizioni  impugnate  toccano  sfere  di
competenza esclusivamente statali e regionali,  il  luogo  idoneo  di
espressione della leale collaborazione deve essere individuato  nella
Conferenza Stato-Regioni». 
    Non  e'  in  discussione,  quindi,   che   qualunque   intervento
legislativo che incida sull'assetto delineato dal decreto legislativo
n. 171/2016 - come accaduto, ad esempio, al momento dell'adozione del
decreto legislativo n. 126/2017, correttivo  di  alcune  disposizioni
del decreto legislativo n. 171 - debba - per  inequivoca  statuizione
di codesta Corte - necessariamente essere preceduto da intesa in sede
di  Conferenza  Stato  regioni,  ivi  comprese  le  deroghe/modifiche
introdotte col decreto-legge in oggetto; come gia' sopra dedotto,  la
norma impugnata incide sulle  competenze  regionali,  in  materia  di
legislazione concorrente (tutela della  salute  e  del  coordinamento
della finanza pubblica); le ragioni delle lamentate lesioni risiedono
nella privazione del potere della  Giunta  di  nomina  di  Commissari
delle aziende (art. 20, comma 2, legge regionale n. 29/2002) e  degli
Organi  ordinari,  nel  conferimento  di  potere  di  nomina,   anche
«multiplo», pure al di fuori dell'elenco obbligatorio sopra citato, e
nella previsione di una ipotesi di «cessazione  dalle  funzioni»  non
disciplinata dal decreto legislativo n. 171/2016. 
5) Violazione articoli 81, 117, 119, 121 della Costituzione. 
    L'art. 3, comma 1, del decreto-legge - come gia' sopra esposto  -
obbliga gli enti del Servizio sanitario della regione  ad  avvalersi,
oltre che della centrale di committenza  S.U.A.,  di  Consip  in  via
principale, ovvero  di  altre  centrali  di  committenza  di  regioni
«limitrofe»  «singolarissima  scelta   terminologica,   di   vaghezza
fortemente censurabile»  per  l'affidamento  di  appalti  di  lavori,
servizi e forniture, superiori alle soglie comunitarie, con  facolta'
di avvalersi del Provveditorato interregionale per le opere pubbliche
per la Sicilia-Calabria: cio' determina, innanzi tutto, la  lamentata
violazione degli articoli 117, comma 3, e 121 della Costituzione. 
    La Stazione Unica Appaltante e' stata istituita nel lontano  2007
(legge regionale n. 26/2007), prevedendo all'art. 1,  comma  1,  come
obbligatorio il ricorso alla S.U.A. - tra gli altri -  per  gli  enti
appartenenti al S.S.N.: consentendo  ad  libitum  al  Commissario  di
ricorre in via preliminare a Consip, o anche, in via subordinata,  di
nuovo ad altre centrali di committenza, pare evidente  che  lo  Stato
abbia emanato norma non di principio,  ma  di  estremo  dettaglio  in
materia di legislazione concorrente  (vedi,  esattamente  in  termini
sulla competenza regionale, le sentenze di codesta Corte n.  43/2011,
punti 4 e 5 «Considerato in diritto» e 166/2019,  punti  8.1.  e  8.2
«Considerato in diritto»); peraltro, si valutino i seguenti dati,  in
relazione alle «preoccupazioni» esposte in udienza  e  richiamate  al
punto 1) del presente ricorso. 
    Con la gia' citata sentenza n. 233/2019,  codesta  Corte  chiari'
che le gare in corso potevano essere completate dalla S.U.A., che  ha
provveduto immediatamente; con  convenzione  «si  allega  lo  schema,
approvato con DCA n. 156 del 26 novembre 2019» il Commissario,  senza
mai utilizzare Consip, sceglieva di valersi della campana Soresa come
centrale di committenza e le uniche due procedure gestite  da  Soresa
sono state «completate» il 3  novembre  2019  si  producono  i  D.C.A
numeri 139/20 e 140/20», 
    Preso seppur tardivamente atto del problema, il  Legislatore  con
la legge n. 120/2020 aveva modificato l'art. 6 del  decreto-legge  n.
35/2019, sostituendo le parole: «di centrali di committenza di  altre
regioni» con «dalla centrale di committenza della Regione  Calabria»;
neanche tempo di provare a  riavviare  l'attivita'  della  S.U.A.  in
materia,  ed  ecco  cessare  i  propri  effetti  l'art.  6  per  come
«rimodulato» ed  intervenire  fa  norma  impugnata,  che  -  come  un
perverso gioco dell'oca -  riporta  la  regione  quasi  al  punto  di
partenza. 
    Nulla esclude  che  la  regione  si  trovi  nuovamente  a  subire
trattamento  sopra  descritto,  consentendolo  la  norma   impugnata,
trattamento che  mette  direttamente  a  repentaglio  la  salute  dei
cittadini calabresi. 
    Inoltre, la norma contrasta anche con gli articoli 81,  comma  4,
117 e 119 della Costituzione: come sopra  esposto,  per  contenere  i
costi e'  stato  predeterminato  in  sede  di  Piano  di  rientro  un
abbattimento dei costi per il ricorso solo alla S.U.A., e la S.U.A. -
proprio perche' struttura regionale - non sopporta costi di difesa in
giudizio, essendo  assistita  dall'Avvocatura  regionale,  mentre  il
ricorso ad  altre  Stazioni  appaltanti  -  compresa  Consip  -  puo'
avvenire  senza  limiti  di  costo,  ed  infatti  -  come  ricavabile
dall'art. 6 dello schema di convenzione  allegato  -  il  Commissario
aveva garantito a Soresa non solo il pieno rimborso delle spese  vive
sostenute dalla centrale di  committenza  per  la  pubblicazione  dei
bandi di  gara  e  degli  avvisi  di  aggiudicazione  secondo  quanto
previsto dagli articoli 72, 73  e  98  del  Codice;  il  costo  delle
eventuali indennita' riconosciute  ai  componenti  della  Commissione
giudicatrice; il costo del corrispettivo per  singola  procedura,  ma
anche il rimborso senza  limiti  delle  spese  di  giudizio;  codesta
Ecc.ma Corte, sin dalla pronuncia n. 214/2012, ha sempre rimarcato la
necessita' che la stima della copertura della  spesa  sia  fatta  «in
modo credibile», il  che,  con  tutta  evidenza,  non  riguarda  tale
disposizione, che risulta totalmente priva di copertura  finanziaria,
e, peraltro, impatta sul bilancio  regionale,  che  vedra'  aggravare
ulteriormente la propria sofferenza  da  tale  incontrollato  «e  sia
consentito  dirlo,  palesemente  inefficace  e  costoso»  ricorso   a
centrali di committenza esterne, allo stato non  quantificabile  solo
perche' dipendera' esclusivamente dalle iniziative del commissario. 
6) Violazione articoli 81, 117, 119, 120, 8 legge n. 131/2003, e  del
principio di leale collaborazione tra Stato e regioni. 
    L'art. 6, comma 2, condiziona l'erogazione delle  somme  previste
dal comma 1 alla presentazione e approvazione del programma operativo
di prosecuzione del Piano di rientro per il periodo 2022-2023 e  alla
sottoscrizione di uno specifico Accordo tra lo  Stato  e  le  regioni
contenente le modalita' di erogazione di  dette  risorse,  mentre  il
comma 3 demanda la verifica del contenuto dell'accordo congiuntamente
al Comitato permanente per  l'erogazione  dei  LEA  e  al  Tavolo  di
verifica degli adempimenti. 
    La norma prova l'intenzione statale  di  protrarre  sine  die,  e
certamente addirittura  oltre  la  stessa  vigenza  della  norma,  la
dannosa espropriazione del settore sanita' regionale calabrese. 
    Pare assolutamente opportuno riportare inciso quanto mai calzante
della sentenza n. 199/2018 di codesta Corte: «questa Corte  non  puo'
esimersi dal rilevare l'anomalia di un commissariamento della sanita'
regionale protratto per oltre un decennio, senza che l'obiettivo  del
risanamento  finanziario  sia   stato   raggiunto,   con   tutte   le
ripercussioni che esso determina anche sugli equilibri della forma di
governo regionale, a causa del perdurante esautoramento del Consiglio
e della stessa Giunta a favore del Commissario ad acta»,  esattamente
l'anomalia in essere in Calabria. 
    Cio'  detto,  la  norma  pone  nel  2020  come   condizione   per
l'erogazione di fondi Presentazione ed approvazione di  un  Programma
operativo che, teoricamente, lo Stato dovrebbe dare per scontato  non
essere approvato, per conclusione del commissariamento al piu'  entro
il  2021;  praticamente,  il  susseguirsi  di   Programmi   operativi
sistematicamente non attuati, ed approvati  con  abnorme  ritardo  e'
solo il metodo attraverso il quale l'anomalia evidenziata da  codesta
Corte viene perpetuata in Calabria, e questa e' solo l'ennesima prova
del disegno statale; e' fermo della giurisprudenza di  codesta  Corte
quello secondo il quale il principio  di  leale  collaborazione  deve
essere applicato «all'interno di un  procedimento  nel  quale  l'ente
sostituito possa far valere le proprie ragioni» (ex plurimis sentenza
n. 56/2018), e a tale principio «deve  essere  sempre  improntato  il
comportamento di Stato e Regioni.» (sentenza n. 57/2019), ma  qui  le
ragioni dell'ente non possono essere fatte valere in alcun modo. 
    Su tali presupposti, non  pare  discutibile  che  lo  Stato  stia
apertamente violando il principio di leale collaborazione: porre come
condizione per l'erogazione di fondi che hanno come pretesa finalita'
«sopportare gli interventi di potenziamento  del  Servizio  sanitario
regionale  stante  la  grave   situazione   economico-finanziaria   e
sanitaria presente  nella  Regione  Calabria»  un  evento  futuro  ed
incerto, che - nell'ipotesi piu' ottimistica -  sara'  approvato  nel
2022,  e  la  cui  approvazione  -  che  potra'   avvenire,   secondo
l'interpretazione avallata  da  codesta  Corte  con  la  sentenza  n.
200/2019, anche nel 2023 o successivamente -  vorra'  automaticamente
significare  l'estensione   per   almeno   un   altro   biennio   del
commissariamento, significa  venir  evidentemente  meno  alle  regole
sopra   piu'   volte   richiamate    che    devono    necessariamente
contraddistinguersi  tra  lo  Stato  e  la  regione,  nonche'  -  sia
consentito aggiungerlo, per quanto  giuridicamente  ininfluente  -  i
cittadini che popolano tale regione, trattati come figli  di  un  Dio
minore. 
    La norma, inoltre,  viola  gli  articoli  81,  117  e  119  della
Costituzione, demandando all'evento futuro ed incerto sopra  indicato
l'erogazione di fondi, la necessita'  dell'erogazione  dei  quali  lo
stesso Stato qualifica come  urgentissima,  determina  una  «entrata»
meramente illusoria e non utilizzabile nell'immediatezza, causando in
concreto una falla nel bilancio regionale. 
7) Questione dl L.C. in via "incidentale" 
    Una necessaria premessa alla presente articolazione del  ricorso:
codesta Corte, con la sentenza n. 200/2020, ha ritenuto di  non  dare
seguito ad analoga richiesta, ma non l'ha ritenuta inammissibile. 
    La Regione ricorrente intende qui  sollecitare  -  alla  luce  di
quanto sopra esposto - la possibilita' che la Corte valuti -  ove  la
questione appresso evidenziata sia  rilevante  e  non  manifestamente
infondata  -  di  attivare  tale  meccanismo,  e,   soprattutto,   di
rivalutare - melius re perpensa - l'arresto contento nella  pronuncia
n. 200/2019, secondo il quale il sistema  in  atto  «in  realta'  non
prevede una prosecuzione del commissariamento sine die,  ma  consente
il ritorno alla gestione ordinaria una volta raggiunti gli  obiettivi
del piano». 
    A tal fine, si espone quanto appreso. 
    Il combinato disposto dei commi 88 e 88-bis dell'art. 2, legge n.
191/2009  prevede  che  i   programmi   operativi   predisposti   dal
Commissario  nelle   regioni   sottoposte   ai   Piani   di   rientro
costituiscano non solo una prosecuzione ma anche un aggiornamento del
Piano, tenuto conto del  possibile  mutato  quadro  ordinamentale  di
riferimento in termini di finanziamento assicurato dallo Stato  e  di
nuovi obblighi pattizi o legislativi in capo alle regioni:  a  avviso
della regione ricorrente, tale disciplina si pone  in  contrasto  con
parametri costituzionali diretti ed interposti. 
    Come  gia'  sopra  evidenziato,  l'art.  5   della   Costituzione
riconosce  e  promuove  le  autonomie  locali;   l'art.   121   della
Costituzione prevede che il  potere  legislativo  della  regione  sia
esercitato dal Consiglio regionale, e  che  la  rappresentanza  della
regione sia individuata in capo al Presidente  della  Giunta;  l'art.
120, comma 2, della Costituzione, pone come preciso limite al  potere
sostitutivo statale l'esercizio dello stesso secondo  i  principi  di
sussidiarieta' e  di  leale  collaborazione;  anche  per  i  casi  di
urgenza, l'art. 8, comma 4, della legge n.  131/2003  prevede  quanto
meno il coinvolgimento della Conferenza Stato regioni, la quale  puo'
chiedere il riesame del provvedimento; l'art. 2, comma 78,  legge  n.
191/2009 prevede che il Piano venga approvato dalla Struttura tecnica
della  Conferenza  Stato  regioni:  insomma,  vista  la   delicatezza
dell'esercizio  del  potere   sostitutivo,   che   altera   in   modo
estremamente incisivo l'organizzazione regionale ed i poteri  a  cio'
collegati dalla  Carta  costituzionale,  l'intero  tessuto  normativo
«costituzionale  ed  ordinario»  circonda  di  particolari   garanzie
partecipative l'adozione degli atti in materia. 
    Per contro,  i  commi  sopra  citati  consentono,  mediante  atto
unilaterale  del  Commissario  «il  Programma   operativo»   sia   la
prosecuzione   che   l'aggiornamento   dei   Piano,    senza    alcun
coinvolgimento   della   Regione   commissariata,   e   senza   alcun
coinvolgimento della Conferenza Stato regioni: tale  profilo  non  e'
stato in alcun modo scrutinato da codesta Corte con  la  sentenza  n.
200/2019, e si chiede che venga qui scrutinato, essendo  evidente  la
pervasivita' del meccanismo che consente la mutazione «genetica»  del
Piano di rientro - il Commissario sarebbe incaricato  dell'attuazione
del Piano di rientro dal disavanzo sanitario  previamente  concordato
tra lo Stato e la regione interessata, e  codesta  Corte  ha  a  piu'
riprese sottolineato la vincolativita' dei Piani di  rientro  per  le
regioni  che  li  abbiano  liberamente  sottoscritti  (ex   plurimis,
sentenza n. 79/2013) - da accordo Stato/regione,  con  coinvolgimento
della Conferenza Stato regioni, ad atto  totalmente  unilaterale  «si
veda, sulla necessita' di forme di coinvolgimento  della  regione  in
ipotesi  di  interventi  in  materia  a  competenza  concorrente,  la
pronuncia di codesta Corte n. 56/2019» in  quanto  dipende  solo  dal
commissario protrarre il  commissariamento,  mediante  l'adozione  di
ripetuti Programmi operativi, che lo stesso commissario poi non porta
a termine, creando  un  corto  circuito  istituzionale  di  rilevante
gravita'. 
    Che, poi, in concreto, la Stato intenda non  porre  alcun  limite
temporale a  tale  prosecuzione  e/o  aggiornamento  per  la  Regione
Calabria, risultando affidato al  solo  commissario  protrarre  anche
sine  die  il  commissariamento,  mediante  l'adozione  di   ripetuti
Programmi  operativi  e'  dimostrato   non   solo   dal   «riepilogo»
dell'ultradecennale  commissariamento  sopra  descritto,   ma   anche
dall'intero compendio  normativo  qui  impugnato  ed  in  particolare
dall'art. 6, comma  2  -  che  gia'  prefigura  ulteriore  estensione
unilaterale del Piano di rientro, e quindi del commissariamento  -  e
dall'art.  7,  comma  3,  che  consente  l'aggornameno  del   mandato
commissariale: si chiede quindi a codesta Corte di  voler  rimeditare
la decisione assunta nel non dare  seguito  ad  analoga  istanza,  e,
quindi - ove necessario ai  fini  della  decisione,  considerando  in
particolare che l'art. 7, comma 3, consente di «aggiornare il mandato
commissariale assegnato con delibera del 19  luglio  2019  anche  con
riferimento al Commissario  ad  acta»  -  che  codesta  Corte  voglia
valutare di  sollevare  avanti  a  se'  medesima  questione  di  l.c.
dell'art. 2, commi 88 e 88-bis, legge  n.  191/2009,  per  violazione
degli articoli 5, 120 e 121 della  Costituzione;  8  della  legge  n.
131/2003  e  2,  comma  78,  della  legge  n. 191/2009,  nonche'  del
principio di leale collaborazione per come declinato  dagli  articoli
appena citati, nella parte in cui consentono - senza alcun meccanismo
di coinvolgimento della regione e/o della Conferenza Stato regioni  -
di proseguire mediante atto unilaterale del Commissario il  Piano  di
rientro ed il correlato commissariamento.